Le professioni più richieste

Se un giorno doveste ricevere la visita a sorpresa di quei vostri vecchi amici che speravate di aver perso, e vi trovaste nell'imbarazzante situazione di non sapere di cosa parlare, vi suggerisco questo argomento: la situazione economica italiana. E se proprio volete rendere frizzantella la conversazione, fate questa domanda precisa: "Secondo voi chi non rischia di rimanere senza lavoro nei prossimi 5 anni?" (mi sembra ovvio che l'obiettivo vero è perderli davvero i vostri amici, per sempre).

Nel caso facciano parte della categoria "simpaticoni nazional-popolari" le probabili risposte saranno: "Ah, beh... di sicuro l'escort... o il politico...".
Se invece fanno parte dei "pessimisti/scettici" vi diranno: "Ormai nessuno è più al sicuro, rischiamo di rimanere tutti disoccupati"
Ci sono poi quelli "tecnologici" e molto aggiornati che ti spiegano che sarà senza dubbio "il programmatore CAD con sistemi opensource per stampanti 3D". 
Oppure gli appassionati del pensiero positivo ti spiegheranno come basterà immaginarsi il proprio lavoro ideale per far materializzare, al massimo entro 21 giorni, la chiamata telefonica del tuo nuovo datore (ma è molto probabile che loro siano disoccupati da 6 mesi...).

Insomma, è un argomento che può appassionare davvero tutti. Persino il Ministero del Lavoro.
Ogni anno infatti si prendono la briga di elaborare e poi diramare un "Rapporto sulle Comunicazioni Obbligatorie" che riporta numerosi dati in merito al complesso mercato del lavoro

Avevo finito i 3 libri che mi ero portato in vacanza e così in mancanza d'altro mi è venuta la pessima idea di leggermi tutte d'un fiato le 83 pagine piene zeppe di percentuali e statistiche di cui è composto il rapporto.
Come spesso capita con le analisi a posteriori (in questo caso si riferisce al 2012) la prima sensazione è sempre quella di un'autopsia. Più o meno quello che succede a quegli imprenditori che scoprono a fine anno, nell'ufficio del loro commercialista, che la loro azienda ha perso molto più di quello che "sospettavano". E realizzano solo in quel momento di essere falliti. 

Insomma, anche leggendo queste 83 paginette è normale trovare alcune conferme alle proprie sensazioni, ma non mancano le piccole sorprese.
Le conferme riguardano principalmente l'area dei nuovi rapporti di lavoro attivati, in calo del 2% rispetto l'anno precedente e composto principalmente da contratti a tempo determinato (64%) rispetto a quelli a tempo indeterminato (17,4%). Entrambi però sono in calo rispetto al 2011, a favore di una terza voce generale ("altri contratti") che include soprattutto il lavoro "a chiamata" (e questo, devo ammetterlo, depone a favore dei cultori del "pensiero positivo", anche se non viene specificato in quanto tempo avviene la "chiamata").  
In generale le donne hanno goduto di maggiori assunzioni rispetto agli uomini, anche se di poco. E principalmente al nord.

Altre conferme arrivano dai diversi trend nei vari settori, con l'industria che ha offerto meno posti di lavoro (188 mila, per la precisione) rispetto ad agricoltura (in crescita) e servizi (leggera diminuzione, ma con un interessante +7% di ristoranti/alberghi e +3,9 nelle attività svolte da famiglie).

Ma veniamo alle tipologie di lavoro che hanno avuto più richieste lo scorso anno. Al primo posto, sia per gli uomini che per le donne, è il tanto paventato ritorno "alla zappa". Ben 767 mila braccianti uomini e 485 mila braccianti donne sono stati assunti per fare uno dei lavori più belli che ci siano. A contatto con la natura e senza lo stress delle fabbriche. Non so voi, ma io la vedo come un'ottima notizia, oltre che ineluttabile.
Al secondo posto, anche qui sia per uomini che per donne, il sempre verde lavoro di cameriere. A seguire, per gli uomini: il lavoro da manovale, quello di cuoco e poi quello di facchini. 
Ma è al sesto posto la prima sorpresa. Perché con ben 157 mila posti di lavoro in più abbiamo... (ta-tan!) il regista/attore/scenografo/sceneggiatore.  
Se ci pensate è una notizia davvero strabiliante (almeno per me). Suppongo siano tutti impiegati nei vari reality "trashow", oppure per scrivere la settecentotrentesima puntata dello sceneggiato "Commissario Basettoni squadra anticrimine", o al massimo per selezionare i prossimi talenti muniti di fattore Y
Perché io di artistico in giro non è che veda granché.
Per le donne invece la terza posizione è quella dell'insegnante ed a seguire il ruolo di commessa e poi di assistenza alla persona.
Sempre i vostri amici simpatici diranno che nelle prime posizioni manca un'altra professione sempre in voga e redditizio, ma ricordo che il rapporto prende solo in considerazione i lavori da dipendente.
Nel finale ci sono altre due sezioni, una dedicata ai licenziamenti (per età, zona geografica, contratto di lavoro etc.) e l'altra ai lavoratori extracomunitari. 
Ve le risparmio entrambe.

Ebbene, devo confidarvi che terminata la lettura ero piuttosto affranto. Non tanto per i numeri snocciolati dal rapporto, quanto per l'ennesima conferma della loro totale inutilità.


Perché queste analisi si basano su fattori che ormai non sono più in grado di spiegare l'andamento reale del mercato del lavoro. 

Ad esempio parlano di tipologie di lavoratori suddivisi per "competenze tecniche" mentre la vera suddivisione dovrebbe essere per "reale professionalità". 
Per intenderci: dire che falliscono 10 mila aziende all'anno non vuol dire niente. Bisognerebbe capire quante di quelle 10 mila erano gestite da veri "imprenditori" e quante invece da "ex artigiani cresciuti un po' negli anni '80 con gestione ancora a braccio". 
Si tratta di una notevole differenza. Nel primo caso ci troveremmo di fronte ad un dramma ingiusto, mentre nel secondo caso potremmo parlare al massimo di una triste, quanto inevitabile, selezione naturale. 


In Italia non abbiamo un problema di lavoro, ma un problema di lavoratori. 
Non sono in crisi le imprese, bensì coloro che quelle imprese le gestiscono.


Mi spiace, ma puoi cominciare a parlare di crisi solo dopo che nella tua azienda avrò trovato: 
Una vision, una mission e dei valori condivisi con tutti i collaboratori. Un organigramma chiaro e funzionale.  I sondaggi fatti sui tuoi clienti attivi e fermi, una chiara strategia marketing e commerciale creata sulla base dei risultati dei sondaggi. Un sito fatto bene ed un blog aziendale che ti faccia distinguere. Dei commerciali proattivi ed eccellenti. Un perfetto controllo di gestione che evidenzi la vera marginalità. Individuazione e separazione delle attività a valore da quelle a non valore. Eliminazione del 50% dei costi occulti. Persone selezionate sulla base di competenze relazionali, oltre che tecniche. Un bel clima aziendale. Delle riunioni brevi e settimanali, per condividere informazioni e chiarire i risultati da ottenere. Una pianificazione del lavoro con statistiche. Un sistema di incentivi meritocratici.
Ecco, a quel punto, se l'azienda andrà comunque male, potrai venire a parlarmi di crisi.

Stesso discorso vale per liberi professionisti e lavoratori dipendenti.
Non basta più saper fare le dichiarazioni dei redditi se vuoi sopravvivere come commercialista. Non puoi fare la commessa in un negozio se non ti sei mai specializzata nelle vendite. Sarai sempre un pessimo ristoratore se non sai gestire il personale. Sei destinato a cambiare lavoro se sei bravino come architetto ma sei scostante con i clienti.

Questo non viene fuori dai meravigliosi report con mille migliaia di percentuali suddivise per area geografica. Perché si tratta di un'analisi fatta da burocrati mummificati dentro al loro ufficio da trentanni. Mentre là fuori c'è una cosa molto più viva e dinamica, che si chiama "realtà".

Tutto questo pippone per dire anche a te, che vorresti sapere dal magocotza "quali saranno le professioni più richieste", che in realtà la risposta non c'è, in quanto è la domanda ad essere sbagliata
Quella giusta dovrebbe essere: "Quali caratteristiche mi permetteranno di svolgere, da oggi in poi, il lavoro che più mi appaga?"
Bene, se mi segui da un po' di tempo, qui sul blog o frequentando i miei corsi, un'idea chiara dovresti essertela già fatta. 
Altrimenti ti consiglio vivamente di leggerti con attenzione altri miei post o, se non ami la lettura e vuoi qualcosa di più interattivo, di iscriverti alla prossima edizione del "Professionista del Futuro". 


Il Rapporto del Ministero del Lavoro non lo dirà mai, ma la reale differenza tra chi in futuro avrà un'occupazione che lo soddisfa e chi invece rimarrà disoccupato, non sarà data dal titolo di studio posseduto o dall'area geografica in cui vive. I fattori saranno altri ed è un peccato che in tanti ancora non se ne siano resi conto. 

21 commenti:

  1. Ho trovato questo post splendido.
    Non ti conoscevo ma adesso penso che pian piano mi leggerò tutto il blog! Grazie di cuore!
    Elena

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  2. C'è un altro problema con questi report ministeriali: che non tengono conto del mondo sommerso del nero, vero motore ancora trainante della nostra economia.
    Ma sono d'accordo con te che nel futuro ci sarà una grande selezione tra imprenditori e liberi professionisti che forse porterà ad un mercato meno selvaggio sulla lotta al prezzo più basso.

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  3. E se io avessi già tutte le caratteristiche giuste per fare il lavoro che desidero ma nessuno me le riconoscesse? Questo ragionamento che tu fai crollerebbe....
    Mario

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    1. Ciao Mario,
      purtroppo non contano le abilità o le caratteristiche che noi riteniamo di avere, bensì quelle che il mercato o i clienti o un datore di lavoro ci riconoscono.
      Questo approccio sta alla base della Proattività, che è appunto una delle caratteristiche chiave del Professionista del Futuro e su cui credo tu debba lavorare ancora un po' ;)
      Trovi qui qualche spunto sull'argomento!

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    2. si', ok, ma non si mangia con la pro attività....
      mario

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    3. Non si mangia neppure scaricando sempre le responsabilità sugli altri, non trovi?
      Tu prova ad applicare qualcuno di quei consigli, diciamo per un mesetto, poi sarai tu a verificare se le cose migliorano o meno.
      Fammi sapere.

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  4. Ciao Fabrizio,
    quando ho partecipato al tuo corso sui professionisti hai detto che stavi scrivendo un libro su questo argomento. E' per caso uno di quelli che vedo nella sezione ebook del blog?

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    1. Ciao Stefano.
      No, i due che vedi (Per fortuna c'è la crisi e il Libro SalvaVita) sono quelli usciti in passato. Il nuovo lo sto terminando e se tutto va bene uscirà all'inizio del 2014. Sarà un manuale di "sopravvivenza" per i Professionisti del Futuro!
      Devi avere un po' di pazienza...

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  5. Voglio provare stasera con gli amici di mio marito (che non sopporto) a fare questa domanda. Ti prometto che se davvero spariscono per sempre farò tutti i prossimi corsi con te!
    Stella

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  6. Ciao Fabrizio, "snocciolare" dati e statistiche non è difficile, il difficile è farlo con cognizione di causa. I dati vanno analizzati, ma bisogna avere la capacità e la volontà di farlo. In Italia (all'estero non ci ho mai vissuto per cui non posso dire) c'è troppa superficialità in generale con tutte le notizie, eccezioni a parte...
    Gli approfondimenti dei tuoi post sono sempre chiari e dettagliati perché hai sensibilità e padronanza degli argomenti trattati. Se una persona senza esperienza si trovasse a gestire un blog del genere forse inizierebbe proprio a riportare "freddi dati" e statistiche rimanendo sempre sul vago e generico. Probabilmente avrebbe meno contatti, come non credo siano tante le persone che si interessano di quelle 83 pagine....
    Marco

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    1. Grazie mille Marco, sempre molto gentile.
      Il problema infatti non è nei dati, ma dell'uso che se ne fa (basta leggere come hanno trattato la notizia i giornalisti del Sole 24 ore, per capirlo).
      Purtroppo se i dati sono fuorvianti e vengono riportati senza una lettura critica, si rischia di diffondere una visione distante dalla realtà.
      Il mio tentativo è, appunto, cercare di osservare l'altra faccia della medaglia per stimolare un dialogo più vicino alle esigenze delle persone e di chi lavora.
      Un abbraccio.

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  7. Dopo la Firem di Modena e la Dometic di Forlì, anche gli dipendenti della Ydronic Lift, alle porte di Milano, tornano dalle vacanze e scoprono che la loro azienda non c’è più!
    Quando si dice CHIUSURA PER FERIE...nel vero senso della parola!
    Capisco che le aziende siano in crisi, capisco che possa essere difficile continuare a produrre sotto la spinta di una concorrenza globale, ma non avere neanche la decenza di programmare una chiusura tutelando (per quanto possibile)i collaboratori ed i lavoratori che fino a ieri erano il tuo CAPITALE UMANO? ... Questi non possono più chiamarsi imprenditori e gli eventuali prodotti di queste aziende non devono essere più acquistati.

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    1. Buonasera Marco,
      condivido che la cosa non sia stata gestita nella maniera migliore e personalmente non approvo simili comportamenti da parte di un imprenditore.
      Quello che sinceramente non comprendo (e che mi lascia piuttosto perplesso) è il fatto che in tutti e tre i casi nessuno tra i dipendenti si fosse accorto prima di nulla.
      Non conosco i dettagli di tutte e tre le vicende, ma il trasferimento di un'azienda (o di una parte di essa, visto che alcuni reparti rimarranno in Italia) non si fa così su due piedi. Qualcuno tra i dipendenti, magari negli uffici, sapeva e forse ha taciuto per compiacenza? Non lo so.
      Ma esorto sempre a leggere queste vicende suddividendo le varie responsabilità. Quella dei lavoratori, a mio avviso, sta nel non aver mai avuto un minimo di consapevolezza di ciò che stava succedendo all'interno dell'azienda per cui lavoravano. Il che denota poco coinvolgimento o semplice menefreghismo.
      Quelle dell'imprenditore sono talmente evidenti che non vale neppure la pena di parlarne.
      Grazie per il tuo interessante spunto e a presto.

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    2. Sono vicende tristi, è sempre molto difficile trarre conclusioni dall'esterno. E' innegabile che comunque fanno molta impressione le modalità con cui queste aziende si sono mosse. Addirittura una di queste non aveva nemmeno problemi di business. Detto questo ritengo che la responsabilità nel coinvolgere i lavoratori nelle strategie o nei possibili scenari o direzioni sia una precisa responsabilità che ricade sul management dell'azienda più che del singolo magazziniere, operaio o impiegato. Dare l'esempio e fungere da modello dovrebbe essere il motto di ogni manager e imprenditore, servire e non farsi servire. Più etica e meno astuzia. Più motivazione che controllo. Dalla mia esperienza non possa fare a meno di ricordare che se il management vuole mascherare le informazioni può farlo senza problemi, sono cose che purtroppo ho vissuto in prima persona. Ahh caro Adriano Olivetti ... se ti avessero ascoltato un po' di più!

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  8. Ciao Fabrizio. Molto interessante questo post (captatio benevolentiam) come tutto il tuo blog.
    Mi veniva una riflessione "parallela": bisognerebbe considerare le notevoli differenze di "stile" fra le diverse categorie di imprenditori: industriali, artigiani e cooperatori, in particolare. 23 anni di lavoro nella cooperazione mi permettono oggi di riconoscere in questo ambito, ahimè, un grave deficit competitivo in termini di cultura, educazione e stile: la parola d'ordine "l'importante è darci dentro" ha travolto le potenzialità migliori, con esiti spesso disastrosi. Vale la pena di parlarne?

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    1. Ciao Paolo, quel che dici contiene molte verità. In effetti gran parte delle cooperative ha un approccio poco adeguato rispetto le esigenze del mercato odierno. E questo, va ammesso, non solo per responsabilità dei dirigenti ma anche di molti dipendenti. Si è perso lo spirito con cui (e per cui) erano nate ed è rimasta la parte meno nobile: assistenzialismo, clientelismo e buonismo di facciata.
      Per fortuna non tutte le cooperative sono così ed io stesso ne conosco di eccellenti qui in Emilia Romagna. Ma sono eccezioni.
      Sono d'accordo che il discorso meriterebbe un approfondimento, che risulterebbe ancora più accurato (ed equilibrato) con il coinvolgimento nella discussione di chi le vive da dentro, proprio come te.
      Ad maiora.

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  9. Ciao Fabrizio,
    complimenti davvero per l'articolo e l'umorismo che lo contraddistingue, il messaggio è chiaro e lo condivido appieno. Ho 22 anni, sono laureata in Comunicazione Pubblica, della Cultura e delle Arti e sto valutando, proprio in questi giorni, come proseguire dopo la triennale. Mettiamo che il mio sogno sia quello di fare la giornalista, raccogliere notizie dal mondo, occuparmi di cronaca, raccontare storie, redarre articoli ed offrire il mio vero ed il mio credo ai lettori. Oppure, come seconda opzione, mi piacerebbe occuparmi di civiltà e di cultura, per apprendere dal vecchio, dalle radici, come costruire il nuovo. Parlo di antropologia, sociologia e discipline affini. Posso permettermi di nutrire i miei interessi? C'è futuro per quelli, come me, che immaginano il proprio futuro in una redazione armati di penna (o meglio, tastiera del computer, ormai) e passione? Oppure conviene indirizzare le proprie energie su altri fronti?

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    1. Ciao Flavia,
      grazie innanzitutto, sono contento che i messaggi dei miei post arrivino alle persone "giuste". E da quanto mi dici credo proprio che tu sia in sintonia con quello in cui credo, ovvero nella possibilità di ridare voce ad aspetti culturali che ormai sembrano essere stati fagocitati dal business o dalla mediocrità.
      Il punto è: come farlo?
      Io sono dell'idea che serva creare una piccola massa critica di persone in grado di testimoniare questo cambiamento, in cui coinvolgere imprenditori, artisti, istituzioni e, ovviamente, pubblico fruitore. Un bell'esempio ci viene ad esempio dai FabLab, di cui presto parlerò anche sul mio blog.
      Io stesso, con l'aiuto di altri amici imprenditori ed artisti ho intenzione di far partire a breve qualcosa del genere. Insomma, c'è "fermento" nell'aria e ci sarà bisogno di persone come te, ancora ricche di energia vitale da poter dedicare alla realizzazione di tutto questo.
      Quindi rimaniamo in contatto e presto vi darò belle notizie.
      Un abbraccio.

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    2. ciao Flavia, un sogno è realistico quando è accompagnato da competenze, esperienze e solide conoscenze del mercato a cui intendi rivolgerti. Traduco: se vuoi fare il lavoro che ti piace devi tener presente che il tuo prodotto sia in grado di soddisfare un bisogno conscio o inconscio di un numero sufficentemente grande di persone da poterti assicurare il compenso del tuo lavoro.
      Ciò che scrivi deve produrre un risultato capace di suscitare l'interesse di chi, pochi o tanti, deve darti il compenso che tu ti attendi per il tuo lavoro

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  10. Il testo tra le frasi "Mi spiace, ma puoi cominciare a parlare di crisi..." e "potrai venire a parlarmi di crisi" è semplicemente oro colato.
    La mediocrità degli imprenditorucoli, la mentalità da aziendina padronale di provincia con la quale si viene a contatto quotidianamente, è desolante. E molto più deprimente della fantomatica crisi...

    Mi permetto di dire due parole alla giovane Flavia, perchè parla di argomenti che conosco molto da vicino: Assolutamente devi indirizzare le tue energie verso ciò che ti appassiona e nutrire i tuoi interessi. Non nutrire però l'illusione di un Vero Lavoro in una redazione, perchè quel tipo di giornalismo non esiste più.
    Per fortuna esiste ancora l'informazione e la possibilità di testimonare la realtà attraverso nuovi canali, attraverso la rete. I giornali conteranno (ed esisteranno) sempre meno ma, paradossalmente, i giornalisti (quelli bravi, curiosi e motivati) continueranno ad esistere e avranno ancora più autorevolezza.
    Basta attivarsi nelle giuste direzioni e non perdere anni dietro a improbabili praticantati/sfruttamenti legalizzati nelle redazioni, nella speranza di assunzioni che non arriveranno più...

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  11. ciao Fabrizio, come sai la mia filosofia è basata sul pensiero positivo, sul concetto che il pensiero crea la realtà, purché poi al pensiero segua l'azione attiva e coerente. Quindi sono pienamente d'accordo che ogni piccolo o grande imprenditore crea la realtà che vive.
    Al tempo stesso se osserviamo le cose da un punto di vista più ampio della singola azienda, mi sembra che ciò che accade alle piccole imprese in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia (e non solo) sia anche conseguenza di potenti azioni esterne che, attraverso una serie di manovre economiche, finanziarie e fiscali, danno l'impressione di avere come principale obiettivo l'eliminazione di una quota significativa delle piccole imprese agricole, artigianali, commerciali e di servizi attive nell'Europa del Sud. In poche parole che le difficoltà economiche delle economie del Mediterraneo siano anche conseguenza di scelte di entità sovranazionali, che mirano ad assumere un rigido controllo e la concentrazione in poche mani di gran parte delle principali risorse planetarie. E' vero che ne consegue che i meno capaci sono i primi a scomparire, e i più bravi possono riuscire a trovare soluzioni creative e innovative. Ma il trend generale presenta una tendenza inarrestabile, per lo meno in questa fase, e generalmente non sembra premiare né l'efficienza né l'onestà, anzi spesso può sembrare che prevalgano grandi aziende che hanno elementi poco etici, predatori, attività illecite e criminali, legami opachi, ...

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it