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Al Maker Faire di Roma |
Da quando ho deciso di dedicarmi attivamente al fenomeno dei
Fab Lab non avevo ancora avuto la percezione chiara e tangibile della reale
portata di questa mia scelta, ma in questi giorni passati al Maker Faire di Roma ho compreso davvero cosa intendeva The Economist (mica Cronaca Vera) quando ha definito il
fenomeno dei “makers” la “Terza Rivoluzione Industriale”.
Ma andiamo per ordine. Innanzitutto perché dovrebbe
interessare a tutti noi Italiani questo nuovo fenomeno, apparentemente di
nicchia? Semplice: perché è il nostro ultimo treno per riaffermare il Made in
Italy, senza venir stritolati da nazioni molto più competitive o ricche.
Cercherò di piegarvelo partendo da alcuni presupposti
fondamentali.
Siamo un Paese privo di risorse naturali e ci troviamo a far
parte di una Europa Unita in cui il nostro peso politico ed economico è ormai nullo.
I motivi sono molteplici e non mi interessa disquisirne in questo post, ma non
possiamo trascurare questi due elementi o continuare a lamentarci sui social
network.
Solo puntando su due macro fattori potremmo tornare ad essere competitivi: turismo e creatività. Il primo dovrebbe valorizzare il nostro patrimonio
paesaggistico ed artistico, ed invece sappiamo tutti come viene gestito. Anche
su questo però non spenderò parole inutili.
Qui mi interessa darvi l’unica buona notizia, legato al secondo macro fattore: la creatività
è più viva che mai.
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Tabby, l'auto fai da te. |
Lo ha notato chiaramente chiunque abbia passato qualche
ora al Maker Faire, in particolare nelle prime due giornate dedicate alla
presentazione di progetti, in gran parte italiani e alcuni dei quali davvero
rivoluzionari. Da "Tabby", l’automobile che ci si monta da soli in un’ora, ha un motore elettrico e costa
meno di uno scooter, alla plastica biologica, da oggi anche elettro conduttiva,
creata dalla bolognese Bio-On.
Progetti in grado di cambiare radicalmente un mercato, di rilanciare la nostra economia e soprattutto di garantire alle generazioni che verranno un futuro migliore, in quanto ecosostenibili.
Ma a fianco di queste invenzioni strepitose, il vero
messaggio del Maker Faire è stato uno nuovo modo di pensare alla produzione, in
cui il consumatore spesso coincide con il produttore/creatore, in uno scambio continuo tipico
dell’approccio open source e finalizzato a creare una nuova socializzazione tra gli individui, a differenza dell’alienazione che crea lavorare in fabbrica. La digitalizzazione si fonde con la creatività, dando
vita ad una nuova figura, l’artigiano digitale, che è insieme designer,
operaio, informatico e venditore (quando non è lui stesso l'utilizzatore).
Non è difficile creare un’associazione mentale
con il nostro Rinascimento, che seguì al buio Medioevo.
La mia
teoria è che nei prossimi anni rivivremo entrambe le epoche, in parallelo. Ovvero il mondo andrà a due velocità, e ciascuno di noi potrà decidere su quale dei due treni salire oppure subirlo passivamente. In realtà questo non costituirebbe una novità assoluta, poiché il mondo è sempre andato così (sia durante il Rinascimento che durante il Medioevo c'erano i molto ricchi ed i molto poveri) se non si tenesse conto del vero elemento discriminante rispetto al passato: per
la prima volta il tutto è basato sullo scambio invece che sulla competizione e sulla forza della collettività invece che sulle abilità del singolo.
Il box con la scheda Galileo |
Il simbolo di questo concetto è proprio un
italiano: Massimo Banzi, il “papà" di Arduino, la scheda elettronica open source
che ha rivoluzionato il mondo dei makers, aprendo ad infinite applicazioni low
cost in cui il valore vero è dato dalla creatività di chi la utilizza.
A sorpresa il nuovo CEO di Intel, Brian Krzanich, ha
annunciato in diretta dal Maker Faire una partnership con Arduino, che ha
portato alla nascita della scheda “Galileo”, regalata ai primi fortunati
presenti (io la tengo gelosamente sulla mia scrivania, anche se per ora non so
proprio che farmene…). Prossimamente verrà regalata ad oltre 50 mila istituti
ed università di tutto il mondo. Questo non può essere letto ovviamente solo
come un atto di generosità da parte del colosso di Santa Clara, ma lascia
intravedere la lungimiranza di chi nota in questo fenomeno l’inizio di qualcosa
di grande, in cui sarà meglio esserci che rimanerne esclusi.
Sarebbe un errore pensare che chi non ne sa una ceppa di programmazione
(come il sottoscritto) verrà coinvolto marginalmente da tutto questo. E' l'errore che hanno commesso quelli che vedevano nei primi computer o in internet un fenomeno di nicchia destinato a pochi fanatici scollegati dalla realtà.
Questa rivoluzione coinvolgerà tutti i settori ed in particolare l’edilizia (e l’arredamento), la moda (accessori annessi), la
meccanica (di ogni tipo).
Guarda un po’, quelli attualmente più in “crisi”.
Ho parlato personalmente durante la fiera con persone
davvero eccezionali, che hanno già prodotto mattonelle ottenute grazie al riutilizzo
di scarti tessili, droni che organizzano magazzini e prototipi di case fatte in argilla… con
una stampante 3D! Quest’ultimo progetto è stato partorito dalla mente geniale
di Massimo Moretti, uno di quegli imprenditori che piacciono a me, ovvero sognatori e concreti al tempo stesso, e per questo in grado di realizzare quello che altri
reputano “impossibile”. Vi consiglio di dare un’occhiata al loro sito “Wasp” per avere un’idea
chiara di quello che stanno realizzando.
Nel video Massimo Moretti e la sua stampante 3D mentre crea una casa in miniatura
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Emilia 3, l'auto che va ad energia solare. |
E come non parlare di “Emilia 3”, l'auto che va ad energia solare? Un gioiello
di tecnologia realizzato grazie alla passione di decine di artigiani e studenti
capitananti da Mauro Sassatelli e accumunati dal desiderio di partecipare al
World Solar Challenge, una sfida che si svolge in Australia e che vede
competitors finanziati da multinazionali o da prestigiose Università. Loro, invece,
hanno dovuto fare tutto da soli, contando solo sul contributo di chi ci ha
lavorato sopra oppure ha donato i materiali necessari alla sua costruzione. Un miracolo tutto italiano.
Ma le storie da raccontare sarebbero davvero tante e in
molti casi convergerebbero attorno al fenomeno dei Fab Lab, di cui vi ho già
parlato in un post di qualche giorno fa e che saranno al centro del prossimo
incontro che faremo al Winner Group, il nostro network di aziende eccellenti. Inviteremo molte delle persone di cui ho parlato qui, per farvi raccontare direttamente da loro cosa stanno facendo e come ciascuno di voi potrebbe contribuire semplicemente "mischiando" competenze trasversali.
Insomma, per chi vuole salire sul treno giusto non rimane che prenotare
il biglietto.
Non ci sarà una seconda possibilità.
Augh!
Augh!
Ciao Fabrizio, ero anche io al maker faire e sono d'accordo che unendo le forze si possa fare davvero tanto. Complimenti e a presto.
RispondiEliminaManuel
Signor Fabrizio ,peccato non averlo saputo di maker faire .ho un progetto innovativo di abbigliamento specifico senza concorrenza ed in continuo aumento che non esiste sul mercato Italia. EU .potenziali clienti 40 milioni .
RispondiEliminale piccole ditte non hanno contatti con distributori -grossisti ..Che fare ?
Cordialità Ernesto
Buonasera sign.Ernesto,
Eliminareplicheranno il prossimo anno il maker faire, quindi si tenga pronto. Prima di allora entri in contatto con un FabLab a lei vicino e provi a creare collaborazioni. Se poi vuole inviarmi via mail il suo progetto sarò ben lieto di leggerlo e di poter dare il mio contributo.
Cordiali Saluti.
Mi hai aperto un mondo. Mai pensato di proporti come ministro delle attività produttive? Saresti la salvezza del paese.
RispondiEliminaCon stima.
Riccardo
Le community e l'apertura degli standard sono due degli elementi che portano alla terza rivoluzione industriale che stiamo per vivere. Il terzo elemento è quello delle tecnologie digitali desktop come quelle Roland usate da tutti i FabLab. Ernesto con queste tecnologie potrebbe essere produttivo in tempi brevissimi e proporre non solo la campionatura ma realizzare la produzione nella sua personalissima desktop fabrication factory.
RispondiEliminaGentile Fabrizio Cotza
RispondiEliminale faccio i miei complimenti per il suo blog, lo trovo molto motivante sopratutto in questo periodo di transizione.
Ho un negozio di cornici da 25 anni, e come può immaginare, il lavoro è drasticamente calato. Per ovviare la crisi ho aperto un B&B che funziona, per ciò che riguarda il negozio di cornici non so proprio che pesci pigliare. Come artigiano del legno potrei mantenere il "know how" acquisito in tanti anni ed espanderlo a settori in crescita come questo ad esempio? grazie in anticipo
Riccardo
Il fenomeno è piuttosto complesso ma ha almeno un paio di "bug" che provo a riassumere:
RispondiElimina1- la riscoperta dell'acqua calda: la disponibilità di tecnologie fino ad ora appannaggio solo dei professionisti del settore fa sì che molti ripercorrano strade già battute, un po' come uno che ha la chitarra ma suona solo i pezzi di Battisti. Chi ne beneficia? Chi gli vende Arduino sicuramente, l'umanità un po' meno.
2- la sindrome di Steve Jobs (o del "cantinaro"): troppi pensano che bastino un microcontrollore e un garage per creare l'impero, ma non siamo più negli anni '80. Passare dal singolo prototipo che risponde ad un'esigenza personale ad un prodotto utile o appetibile per tutti ce ne passa. Tuttavia il 90% di chi si avvicina all'internet delle cose lo fa sperando di inventare qualcosa di rivoluzionario, ignorando cosa già esiste nel mondo (e da quanto tempo esiste) e come si fa a produrlo.
3- Fraintendimento: l'alone di entusiasmo "magico" intorno all'argomento fa sì che molti immaginino chissà quali scenari dietro all'internet delle cose e chissà quali infinite possibilità. In realtà spesso (troppo spesso purtroppo) le cose si riducono ad accendere e spegnere un led o a replicare all'infinito la stampante 3D che pure lei è un'oggetto molto poco utile (costi di produzione, livelli di finitura degli oggetti imbarazzanti, etc)
Questi aspetti (ed altri più o meno analoghi) secondo me rendono parzialmente sterile questo movimento e funzionale (per ora) soltanto a chi produce la tecnologia che c'è alla base. Per chiarire meglio il concetto uso proprio un esempio citato nell'articolo: la macchina a energia solare. Sono anni che gruppi di appassionati organizzano gare di mezzi autocostruiti alimentati ad energia solare, molto prima della nascita del cosidetto IOT (Internet delle cose), di Arduino etc, eppure la cosa viene inserita nello stesso filone di attività (fraintendimento). Inoltre sebbene ogni casa automobilistica del mondo saprebbe costruire gli stessi oggetti (in modo migliore) non lo fa. Non c'è alcun effetto di trascinamento degli hobbysti sull'industria, nessun nuovo filone industriale. Detto questo sicuramente disseminare strumenti e tecnologie in modo che una grande massa di persone li riesca ad usare fa sì che nascano contaminazioni impreviste, idee nuove e collaborazioni.
Saluti
Francesco
Sì, a distanza di oltre un anno da quando scrissi questo post mi sento di dire che c'è una parte di verità anche nelle tue parole. Sarei meno pessimista, perché -come concludi tu- siamo all'inizio di un fenomeno che nessuno sa bene che sviluppi potrebbe avere. Ci auguriamo migliori di quelli creati dal capitalismo dominato dalle multinazionali.
EliminaIo mi auguro e in parte ne sono anche convinto che l'impatto possa essere innovativo, tuttavia non credo possa essere rivoluzionario. Rimango quindi moderatamente ottimista di fronte a fenomeni del genere; se non altro per un discorso probabilistico: in mezzo a 1 miliardo di idee poco utili se anche solo un 5% fosse rivoluzionaria sarei contento. Come dicevi anche tu nel post, hai sul tavolo una (molto potente) scheda Galileo, ma se la cosa più "fica" che ti viene in mente è aprirci il cancello di casa tua capisci che la potente scheda è come la penna in mano a un analfabeta. Io spero che questo momento non si esaurisca e sia una sorta di rinascimento informatico in contrapposizione ad una passività nell'uso dello strumento che mi pare in aumento. Chi vivrà vedrà :) Francesco PS hai notato giustamente che un colosso come Intel è entrata nel business, questo secondo me è un cambio di paradigma. 40 anni fa IBM snobbava i cantinari e questo ha avuto un effetto devastante (per IBM). Oggi Intel (come freescale, st microchip e altri) li blandisce, e intanto gli vende gli strumenti che vogliono e si ritrova un enorme reparto R&D non retribuito che sviluppa prodotti (lo stesso avviene per le app). Non per essere pessimisti ma ancora una volta il capitalismo fa in modo che l'acqua vada al mare, 40 anni fa avrebbe cercato di resistere al cambiamento ora cerca di incanalarlo...
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