A volte si è portati a
pensare che l’unico modo per responsabilizzare le persone sia introdurre regole
sempre più rigide o specifiche. Un po’ come si spera di contrastare la
criminalità aggiungendo nuove leggi.
In effetti le regole
(così come le leggi) sono indispensabili e la loro mancanza crea
effetti nefasti all’interno di qualsiasi gruppo.
Tali regole dovrebbero
essere chiare e soprattutto motivate.
Ovvero oltre a dire che “non ci si ferma in 10 davanti alla macchinetta del
caffè” bisognerebbe argomentare (possibilmente a voce) il motivo per cui quella
regola viene messa (ad esempio per evitare di disturbare altri colleghi o per
evitare che le postazioni restino tutte sguarnite allo stesso momento).
Le regole dovrebbero
essere poche. L’abuso di regole
scritte (come all’interno delle famose “aziende cartello”) denota la mancanza
di qualcosa di più profondo, ovvero di accordi chiari e di valori definiti.
Tale autorevolezza si
manifesta soprattutto quando qualcuno volontariamente
o inconsapevolmente trasgredisce ciò che è stato stabilito, intervenendo
istantaneamente per mettere la persona di fronte le proprie responsabilità.
Le circostanze possono
essere numerose e di diversa gravità:
- Piccoli furti.
- Mancanza di rispetto nei confronti di
un collega.
- Atteggiamento negativo o superficiale
con i clienti.
- Lavori eseguiti in maniera diversa da
quella concordata.
- Inadempienze ripetute.
Tali interventi
dovrebbero riguardare solo la sfera professionale, ma in alcuni casi il
Responsabile dovrà intervenire per gestire comportamenti poco corretti nella sfera privata, se questo in qualche
modo incide anche sul lavoro.
Esempi classici
potrebbero essere:
- Uso smodato di droghe o alcool che
hanno conseguenze postume anche negli orari lavorativi.
- Sperpero di denaro che poi si
trasforma in richieste continue di prestiti o anticipi.
- Relazioni clandestine tra colleghi che
creano dinamiche ambigue nel gruppo.
In questi ultimi casi
intervenire non è semplice poiché dall’altra parte potrebbe essere vissuta come
una invasione della propria privacy. Ma ancora una volta la motivazione
profonda non sta tanto in un moralismo bigotto (che non ci interessa), quanto
nella condivisione di valori più profondi, in cui il benessere dei collaboratori dovrebbe essere sempre tutelato.
Come dice il famoso
aforisma “la libertà di ciascuno finisce
dove comincia quella degli altri”. Non possiamo quindi permettere, per
ignavia o pigrizia, che i comportamenti poco corretti di qualcuno si riflettano
sulle altre persone che lavorano nel gruppo e sull’azienda stessa.
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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it