La modalità migliore per gestire i collaboratori

Uno degli argomenti su cui i titolari d'azienda si trovano più spesso a discutere è la modalità ideale con cui bisognerebbe relazionarsi con i propri collaboratori.
Le fazioni di solito sono tre:

a. Fazione del "Meglio li tratti più se ne approfittano". I sostenitori di questa teoria hanno di solito una lunga casistica di episodi in cui i collaboratori, dopo essere stati trattati "come figli" o dopo aver dato loro soldi, premi e benefit vari hanno clamorosamente tradito la loro fiducia (andandosene, rubando, diventando intrattabili o semplicemente lavorando poco e male). Da allora adottano con i collaboratori (che ora preferiscono chiamare "dipendenti", giusto per mantenere le distanze) un rapporto cortese ma distaccato e razionale, per far sì che il dipendente stia al proprio posto e che non confonda l'amicizia col rapporto si lavoro.


b. Fazione del "Ho provato ormai in tutti i modi, ma è impossibile ottenere risultati dai collaboratori". Coloro che sono arrivati a questa conclusione hanno risolto il problema accentrando progressivamente tutto il lavoro su di sé, e soprattutto non permettono che decisioni o controlli importanti siano fatti da altri. Di solito passano più di 10 ore in azienda, week-end compresi (i giorni migliori, sostengono, per lavorare). Più l'azienda cresce e più loro si ritrovano sovraccarichi, stressati e pentiti di aver deciso di fare gli imprenditori. Non tentate di fargli cambiare idea: avendo già provato "tutti i modi" sono convinti che concetti quali la "delega" o la "responsabilità" siano teorie inapplicabili, scritte da chi in realtà non ha mai gestito persone.

c. Fazione del "Siamo una grande famiglia, volemosebbene". Inguaribili ottimisti e romantici, lasciano che il gruppo si autogestisca, non amano verificare il lavoro altrui, sono estremamente tolleranti rispetto a mancanze, errori, ignavia. Somatizzano un po', ma poi si dicono che in fondo sono tutti bravi ragazzi e bisogna portar pazienza. Diventano il parafulmini per clienti e fornitori inviperiti per le inefficienze o la scarsa attenzione con cui vengono gestiti i lavori, ma loro da buoni "padri di famiglia" incassano silenziosamente e perseverano nel loro atteggiamento buonista.

Ovviamente in ciascuna di queste tre fazioni vi sono mille sfumature diverse, ma in tutti i casi sembra esserci la stessa identica distorsione. Ovvero l'idea che chiedere in maniera ferma, assertiva, determinata significhi urlare, essere aggressivi, imporsi. Questo provoca effetti spesso paradossali, con "salti quantici" dall'iper tolleranza passiva a impetuosi sfoghi di rabbia. Ovvero due estremi ugualmente pericolosi e speso fatali.
Imparare l'arte della fermezza permette di acquisire quella famosa "autorevolezza" e quel carisma che rende orgogliose le persone di fare quello che gli viene detto.
Viceversa un atteggiamento troppo debole o troppo sanguigno creano gli stessi identici effetti:
- Confusione
- Prepotenza
- Menefreghismo
- Ostilità
- Falsità

Il primo passo per imparare ad essere assertivi? Imparare a dire un bel "NO" deciso ma sereno, di fronte a richieste inaccettabili. Prova a farlo allo specchio. Immagina di avere una persona prepotente o irritante che ti fa una richiesta e tu rispondigli in maniera ferma ma gentile "NO!".
Facendolo più volte scoprirai come cambia il tono della tua voce e la tua espressione del viso, man mano che ti abitui a dire il tuo "NO!" in maniera corretta.
Per i successivi passi continua a seguirmi, o scrivimi in privato chiededomi consigli specifici. Sarò felice di poterti aiutare.




2 commenti:

  1. Come al solito sei molto efficace nell'individuare i tipi umani.
    Ma a te non vien da ridere a dire NO allo specchio? Magari sei li' indeciso sul farti la barba o meno.

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  2. Infatti ultimamente non me la faccio più, perché mi rispondo sempre di no! Ma in maniera gentile e autorevole ;)

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it