Abbiamo bisogno di antieroi.

E' da molto che non scrivo su questo blog. Ma ho letto tanto in questi ultimi mesi e su tematiche assolutamente trasversali. Per tentare di capire cosa sta succedendo a questo genere umano che sembra in preda ad una ipnosi collettiva, che non gli fa vedere neppure le anomalie più grandi.
Così ho cominciato ad elaborare una sintesi, da questo magma di notizie, libri, articoli, informazioni che ho accumulato, e che mi ha fatto capire parecchie cose importanti.
Una delle più importanti è questa che cercherò di trasferirvi in queste poche righe.

La domanda che mi ha sempre maggiormente affascinato è stata: perché le persone fanno quello che fanno?
Dall'operaio che si sveglia alle 6 del mattino al grande finanziere che specula in borsa, dalla casalinga con quattro figli allo studente che protesta tra gli Indignati, dal politico della casta al finto invalido che ruba la pensione. Cosa spinge tutte queste persone a fare quello che fanno?


Potremmo supporre che cercano di raggiungere un qualche obiettivo, dal più materiale al più spirituale: soldi, oggetti di lusso, una casa in cui vivere, uno stipendio per sfamare i figli, sopravvivenza quotidiana, tranquillità, un po' di gioia.
Io lo chiedo spesso alle persone che incontro: perché fai quello che fai? E le risposte (quando me le danno) più o meno sono sempre le stesse. Molto legate al contingente. Ma se non ti soffermi su quelle e vai in profondità, dopo un po' scopri una cosa davvero affascinante, ovvero che le persone hanno degli eroi, che vorrebbero emulare.
"Vorrei diventare come...". Come mio padre, come il mio capo, come berlusconi, come vasco rossi, come che guevara, come la velina, come totti, come gesù.
Non te lo dicono apertamente, ma nel descriverti quello che vorrebbero per loro scopri che in realtà ti stanno descrivendo una vita che hanno proiettato su uno o cento o mille dei loro eroi. E che quella vita, per loro, rappresenterebbe davvero il loro sogno. Il motivo per cui fanno tutto quello che fanno.
E qui sorge il primo grande problema. Perché nell'inseguire la vita di qualcun altro si sono dimenticati di vivere la propria. A furia di rincoglionirsi davanti ai falsi miti proposti dalla tv, dallo sport, dalle radio, dai giornali e dal cinema hanno cominciato davvero a credere che la vita di uno di quei personaggi fosse la miglior vita possibile, l'ideale da seguire per poter, un giorno, essere felici.


Peccato che non sia vero. Per 3 motivi almeno:
1. Non è detto che quei personaggi, per il semplice fatto che sono ricchi/belli/famosi/saggi/colti/realizzati debbano necessariamente essere anche sereni/felici/appagati/spensierati. Questa associazione ci è stata ficcata nel cervello dalla propaganda a cui fa comodo farci credere questo. "Se diventerai come lui anche tu ti godrai la vita!". Balle. Non è vero niente.
Se ti catapultassero da un giorno all'altro nella sua vita forse all'inizio saresti euforico, ma poi scopriresti che anche la sua vita non è per niente facile. Il politico corrotto che ora si sente sotto scacco, il divo che deve costantemente recitare un ruolo, il calciatore costantemente sotto pressione psicologica. Una vita di merda. Motivo per cui la maggior parte di questi personaggi fa uso di droghe, di alcool o di antidepressivi.

2. Il fatto che qualcuno di loro sia davvero felice/sereno/appagato non dipende dal ruolo che ha, ma da come è lui. A prescindere da ciò che è diventato. Ma raramente le persone creano i propri eroi sulla base di come "stanno", bensì sulla base di ciò che sono o hanno. Non dicono "vorrei diventare famoso per poi essere sereno come quell'attore". Anche perché loro di quell'attore, veramente, non sanno nulla. Il primo pensiero va a "quante donne si scopa, quanti soldi spende, quante auto possiede". E qui si torna alla fregatura del punto 1.

3. La maggior parte delle persone fa l'esatto contrario di quello che dice di volere. Non su cose piccole, ma su cose evidenti. Ormai non mi sorprende più sentirmi dire da un imprenditore (di successo, non in crisi) che "non ha più tempo per se stesso" e che per questo motivo "non ce la fa più dallo stress". Quindi, in teoria, lui ambisce ad avere più tempo per sé, perché questo lo renderebbe  più sereno. Poi passi una giornata (o anche meno) assieme a lui e cosa scopri? Che lui fa di tutto per essere sempre più impegnato, stressato ed infelice. Non è una condizione di cui è vittima impotente. E quando glielo fai notare risponde con un laconico "eh, lo so, ma è più forte di me". In realtà non vuole veramente ciò che dice.

Questi 3 motivi sono i principali, ma non gli unici.
Riassumono però la grande trappola in cui siamo caduti più o meno tutti. Abbiamo identificato degli eroi fuori dal mondo reale, abbiamo attribuito loro una felicità/serenità/appagamento che non hanno ed abbiamo sacrificato la nostra esistenza dietro a questo diabolico e perverso miraggio.
Un essere umano sano dovrebbe vedere i divi del cinema o i campioni dello sport o i politici della casta come gli esseri più sfortunati della Terra. Dovrebbe avere pena per loro e augurarsi di non fare mai quella fine. Dovrebbe temere come la peste l'idea di far carriera o di diventare importante, perché consapevole di tutti i problemi e lo stress che questo comporta. Dovrebbe pensare sempre "è davvero quello status che mi darebbe ciò che voglio per me stesso e per le persone a cui voglio bene?".
Altrimenti si finisce per fare come quei genitori che lavorano 16 ore al giorno per dare "tutto" ai loro figli, non accorgendosi che quel modo di fare creerà solo distacco e risentimento da parti di quei bambini abbandonati davanti a tv e playstation.

Finché non ci sveglieremo tutti da questo incantesimo, continueremo a delegare all'esterno le cause del nostro malessere, delle nostre ansie e delle nostre insoddisfazioni .
E questo amplificherà sempre più la divisione tra chi ha oltre il superfluo e chi non ha neppure il necessario. Creando il terreno adatto per disuguaglianza, rivalità, rancore, invidia, bisogno di riscatto. Quindi disordini sociali, scontri e guerre. La condizione peggiore in cui un essere umano si possa trovare.
La verità è che dovremmo ristabilire chi sono i veri eroi. 
Il più delle volte sono quelli che la società bolla come perdenti. Sono gli anziani che vedo sempre più spesso girare tra i cassonetti alla ricerca di qualcosa da mangiare. Sono quei professionisti che non faranno mai successo perché non si sono voluti vendere a nessuno. Sono quelle mamme che rinunciano alla carriera per stare vicine ai loro bambini. Sono tutte quelle persone che, proprio perché eroi, non diventeranno mai famosi, mai invidiati, mai presi come esempi.
Perché, mi sembra ormai fin troppo evidente, questo tipo di società funziona al contrario e premia chi eroe non è. Premia i più furbi, i più aridi, i più degradati.
Ambire a diventare come loro equivale a desiderare il peggio per se stessi e per il genere umano.
E' finito il tempo degli eroi. Oggi abbiamo bisogno di antieroi.

6 commenti:

  1. Ciao Fabri
    è qui che si raccolgono i punti per diventare antieroi?
    Vorrei i punti per la mia scheda: questa estate ho rifiutato l'aumento e in cambio ho ridotto il mio orario settimanale da 40 a 36 ore.

    Battute a parte, è proprio vero che tutti soffriamo di questo costante "appesantimento" da sogni/bisogni/aspettative altrui. Succede a tutti - anche chi cerca di starci attento, prima o poi qualche scivolone lo fa.

    La foto del Batman grassone mi ha fatto pensare proprio a questo: diventiamo obesi, lenti, pigri - prima di tutto dentro. E questa dieta sbagliata si nutre come dici tu, di falsi miti. E a forza di mangiare schifezze, si perde addirittura il gusto, la speranza, l'ambizione per qualcosa di migliore. Mi vengono in mente le facce di tanti che posti di fronte alla scelta soldi/felicità, sceglierebbero immediatamente i soldi. E la motivazione profonda, sembra essere che la felicità è considerata una fregatura, un "pacco", qualcosa che addirittura non esiste.

    Saluti e baci!
    pigna

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  2. Ciao Fabrizio, sarebbe facile per me dire che sono d'accordo ma ora ti/vi racconto come la penso.

    La ricerca del perché facciamo quello che facciamo ci pone davanti ad un'altra domanda tanto insidiosa quanto le sabbie mobili in una palude di mangrovie.

    Chi siamo e cosa volgiamo veramente?

    Molti risponderebbero in maniera quasi automatica: "essere ricco" o "avere più soldi". Ma questa risposta è in realtà una scusa..perchè non tiene conto della dimensione temporale in cui uno vive.

    Essere si va bene ma quando? con che piano?
    Avere ok ma con quali mezzi e a che prezzo?

    Allora si tenta di confondere il "fine" con il "mezzo" unendo, come in una sorta di scienza esatta, i soldi alla felicità.

    La soluzione a questa equazione mi ha sempre incuriosito parecchio. Crescendo ho avuto la fortuna di imbattermi in molti esempi di combinazioni o ricombinazioni di questo binomio. La vita di ognuno di coloro che ho conosciuto aveva più l'aspetto di un processo di tipo alchemico che quello di una ricettina facile facile da riprodurre con tanto di manuale di istruzioni in mano.

    Davanti ad un ventaglio così vasto e vario di esempi del tipo ricco/depresso, ricco/realizzato, povero/consapevole, povero/felice, povero/incazzato etc. mi sono messo ad indagare, tipo cane da tartufo, quale fosse la "formula vincente".Ebbene la formula non è univoca per cui NON la si può trovare se non a patto di capire, cosa non facile, oltre al cosa si vuole il chi si è VERAMENTE.

    Se fosse vera l'equazione di cui sopra basterebbe accendere un mutuo. Ma questo ragionamento non funziona. Se tracciassimo per un attimo un parallelo tra i soldi e la benzina allora potremmo disegnare questa sorta di favola. Nel lungo viaggio chiamato "vita" occorrono MOLTI elementi: benzina appunto ma anche una mappa, la voglia di partire, il desiderio di fare scoperte, la voglia di sognare, l'equipaggiamento giusto e all'occorrenza anche i compagni di viaggio. Ve lo immaginate un'esploratore che faccia il "pieno" ma non sappia cosa fare e sia sprovvisto del gusto per l'avventura? Beh tra lui e una tanica di benzina non ci sarebbe molta differenza....

    Invece, ciò che fa di lui una persona VIVA in questo fantastico viaggio è la sua essenza ossia quella forza interiore come quella che spinse gli argonauti ad avventurarsi oltre i confini del conosciuto.

    L'essere eroe o meglio anti-eroi da mass media presupone molto di più della semplice liquidità. L'elenco di ingredienti necessari sarebbe lungo ma sicuramente se consideriamo come vero, almeno per un attimo, il detto "i soldi non fanno la felicità" a mio avviso è altrettanto vero che per fare un ottima "torta" non basta la sola "farina".

    Mi auguro pertanto che il genere umano così come il sottoscritto digerisca in fretta il pappone di pseudo certezze che passivamente abbiamo ingozzato e si inizi al più presto una dieta non alimentare ma mentale in cui poter rincominciare ad assaporare esperienze autentiche.

    Con stima ed affetto.

    Valerio

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  3. Grazie a Davide e Valerio per i loro contributi ricchi e di spessore.
    Servirebbe davvero allargare questa conversazione, comprendere se siamo davvero una minoranza a pensarla così o se in realtà tanti "silenti" sono d'accordo e non lo sappiamo.

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  4. Buongiorno,
    sono d'accordo con Valerio, per fare la torta non basta la farina e a mio avviso anche le ricette a volte non sono sufficienti. Ci vuole la mano esperta che le ammalgama.
    E' vero Fabrizio che desideriamo essere sempre qualcun altro, ma la nostra società è costruita sui modelli. Modelli che ci vengono continuamente propinati in tutte le salse. Cerco, anche e sopratutto per i miei figli, di uscire da questa logica, non ho TV in casa, ma non basta. I modelli ti si riprongono ovunque, nella scuola, nello sport, etc.
    Ti propongo questo link divertente, ma in tema
    http://www.youtube.com/watch?v=oRJFyHRasOU
    A presto!
    Riccardo

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    1. Ciao Riccardo, mi piace da matti la tua affermazione riguardo alla "mano esperta che sappia amalgamare"...
      A mio avviso siamo in tanti solo che siamo isolati. Dovremmo trovare il modo di fare rete ed unire le nostre forze...:=)
      Alla prossima
      Valerio

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  5. Il mito dell'"eroe", in sè, non rappresenta qualcosa di negativo. L'eroe, nell'immaginario collettivo, offre un esempio virtuoso di impegno profondo, fino al sacrificio estremo, nell'interesse della collettività e dei più deboli. Potrebbe costituire, perciò, anche oggi, un modello positivo cui tendere per perseguire una crescita personale e, indirettamente, collettiva.
    Anzi, la nostra evoluzione è stata agevolata da chi, per ambizione e intraprendenza, ha ritenuto di poter fare meglio degli altri, osando superare le Colonne d'Ercole a bordo di una Caravella, o sfidando la gravità alla ricerca del modo di volare, o inventando la penicillina o il vaccino contro la tubercolosi. Viceversa, il mito opposto, quello dell'"antieroe" presenta almeno un'insidia: giustificare un'inerzia un pò conformista e deresponsabilizzante. E' certamente lodevole il comportamento di chi, senza clamore, ogni giorno, affronta con coraggio le difficoltà della vita quotidiana. Anche, se, a mio parere, lo fa perchè trae da questa posizione la stessa utilità che l'imprenditore o il business man o l'attore famoso traggono da ciò che fanno: una forma di appagamento personale che rafforza la loro autostima. I primi traggono un'utilità personale dalle attività familiari, dagli sport, dagli hobbies, etc, gli altri dalla competizione, dal business, dalle relazioni professionali, etc.. Si tratta di forme di espressione differenti e, peraltro, non incompatibili. Entrambi sono, comunque, stressati: è stressante uno stile di vita che ti porta in giro per il mondo come una trottola, ma è stressante anche salire a bordo di una metropolitana affollata ogni giorno e subire condizioni di lavoro molto proceduralizzate. Ci sono professionisti in carriera che per gestire lo stress si drogano e vanno a puttane, e impiegati padri di famiglia che per gestire lo stress picchiano le mogli o giocano d'azzardo alle slots.
    Piuttosto, dicevo, nell'antieroe vedo anche una minaccia: quella di giustificare un approccio al lavoro, al prossimo e alla vita un pò passivo. Del tipo: "siccome impegnarsi a fondo in un progetto, un'occupazione o un obiettivo importante ti fa perdere di vista le gioie della vita quotidiana, allora sai che facciamo?: ce ne stiamo alla finestra a contemplare il paesaggio!"
    Penso che buona parte dei problemi economici che l'italia si trova oggi ad affrontare sia imputabile al fatto di aver abbondanato l'idea che l'individuo possa offrire un contributo concreto e qualificante alla società attraverso la sua intraprendenza e la sua voglia di fare. E al fatto di aver abbandonato l'idea che l'impresa privata, nella fattispecie, possa garantire uno stimolo allo sviluppo e al benessere del singolo imprenditore e della collettività. Negli ultimi vent'anni, gli stessi media hanno sempre valorizzato l'antieroe che opera nel non profit (nelle varie fiction televisive, i "buoni" sono sempre medici, preti, carabinieri, poliziotti) e squalificato i businessmen (i "cattivi" sono quasi sempre imprenditori, in genere proprietari di cliniche private). E c'è poco da fare: anche questo "martellamento" mediatico ha prodotto i suoi effetti. I giovani per primi, non ci credono più, e non ci provano neppure ad intraprendere. E i meno giovani giocano in difesa, conservando e proteggendo ciò che hanno anzichè generando nuovo valore.
    Non mi piace molto lo stereotipo romantico dell'eroe, ma credo che ridefinire e valorizzare alcuni modelli "altisonanti" in senso virtuoso ed esemplare (e magari anche utopistico), a cui la gente si possa ispirare positivamente nel raggiungimento di traguardi ambiziosi, sia nell'interesse di tutti.
    Viceversa un'inerzia conformista di stampo sessantottino mascherata da buonismo perbenista mi pare un comodo alibi per gli inetti e per chi trova più comodo tirare a campare sulle spalle degli altri (lo Stato, i genitori,le garanzie nel lavoro, etc.).
    Filippo Bonazzi

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it