Perché un'azienda fallisce


E' vero, gli imprenditori in Italia sono trattati peggio dei criminali, non vengono tutelati in alcun modo dallo Stato e la loro passione è spesso distrutta dalla burocrazia, dalle tasse e dalla sempre più grave crisi mondiale. E' altrettanto evidente però che ci sono delle differenze importanti, che stanno selezionando chi riuscirà a farcela da chi invece vedrà fallire la propria azienda. Pur essendo tali variabili molto ampie (soprattutto tra chi lavora con privati e chi invece ha crediti nei confronti dello Stato) vi sono 3 macro lacune che spesso rappresentano la vera causa delle difficoltà di una piccola o media impresa.

Vediamo quali sono:

1- Nessun controllo finanziario, neppure nella sua forma più banale.
Non si distinguono i costi fissi da quelli variabili, la marginalità è calcolata ancora "ad occhio", non si sa qual è il vero break even. Non si calcolano i costi di non qualità, si cerca di risparmiare sulle inezie ma si buttano via migliaia di euro in  sprechi costanti. I magazzini sono sovradimensionati o mal gestiti, vengono dati stipendi alti o premi a persone che remano contro l'azienda, gli acquisti strategici sono affidati ad amministrativi incompetenti e non c'è nessuno che sia esperto nel recuperare i crediti senza perdere il cliente. Una tale situazione, che poteva essere tollerabile quando i margini erano a due cifre, di questi tempi diventa fatale.


2- Superficialità nella gestione del personale.
Si tollerano situazioni che andrebbero gestite immediatamente con fermezza e si rimprovera a caso il malcapitato di turno. Le riunioni sono noiose ed inutili, con lunghi monologhi del titolare o recriminazioni sugli errori fatti . Qualcuno non le fa proprio "perché tanto ci vediamo tutti i giorni", oppure ci si limita alla classica convention di fine anno. Scarseggiano i riconoscimenti ai più meritevoli, viene dato tutto per scontato, e manca un sistema meritocratico fatto di incentivi legati al reale valore creato dai collaboratori. I responsabili intermedi vengono spesso scavalcati (quando ci sono), oppure vengono dati ordini contrastanti che creano confusione ed errori. Non sono chiariti i risultati da ottenere, si parla solo di quello "che andrebbe fatto" e mai del "come va fatto". Non esiste uno scopo o un sistema di valori aziendali realmente condivisi da tutti.

3- Marketing improvvisato e gestione commerciale mediocre.
C'è ancora la convinzione che il cliente venga a bussare alla porta, e che proporsi sia poco elegante.  Ci si lamenta del fatto che il prodotto o i servizi non vengano apprezzati dal cliente, ma non si è mai fatto un sondaggio per chiedere la loro vera opinione. I venditori sono visti come un costo, perché vengono pagati ancora solo col fisso e si spera che basti dargli la brochure in mano per farli vendere. Non esiste un budget e nessuna strategia marketing per i 6-12 mesi a venire. Non viene fatta nessuna riunione settimanale o mensile con gli agenti, solo qualche telefonata ogni tanto per sapere cosa hanno venduto. Vi è ancora la pericolosa convinzione che basta avere un buon prodotto e si spera che prima o poi il mercato riprenda come promesso dai politici in televisione.

Ci sarebbe ovviamente tanto altro, ma già con queste tre condizioni una PMI non ha nessuna possibilità di salvarsi, quindi è solo questione di tempo. Non verrà salvato da nessun governo, da nessuna riforma, da nessuna banca. Da loro, purtroppo, può solo essere affossato più velocemente.
Quindi non resta che rimboccarsi le maniche ed affrontare uno ad uno tutti questi punti, mirando all'eccellenza come condizione unica ed indispensabile per far crescere la propria azienda.


7 commenti:

  1. Ho letto con interesse il suo articolo, non credo di avere un'azienda perfetta ma di essere abbastanza bravo nei tre punti che lei cita, eppure la mia azienda si trova in difficoltà. Non sto qui a raccontarle tutte le traversie ma le dico solo che nel nostro caso il problema è stato che i nostri clienti non ci hanno pagato dal momento che erano loro stessi in difficoltà e questo ci ha fatti entrare in un circolo vizioso da cui non siamo più riusciti ad uscire e che ora ci vede pesantemente indebitati con le banche. Io non vedo grandi soluzioni, ma se lei me le trova io un pranzo glielo offro volentieri.
    Roberto R.

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  2. Roberto,
    purtroppo ho appena terminato le bacchette magiche. In questi casi di solito tornano utili.
    A parte gli scherzi, non so se nel Suo caso possano esserci ancora possibilità di salvezza per l'azienda, dipende in cosa consiste questo "pesante indebitamento" rispetto ai fatturati e alle marginalità attuali e da mille altri fattori che non posso virtualmente analizzare. Di certo passare una giornata nella Sua azienda mi permetterebbe di capire meglio la situazione e di verificare se davvero i tre punti sopra esposti sono già applicati.
    Quello che so è che:
    1. Quando il cliente non ci paga non è detto che non stia pagando nessuno, ma che sta decidendo di pagare prima altri e poi noi (a meno che non sia fallito). E se molti clienti ci mettono in fondo alla lista questo spesso è dovuto al fatto che non ci vedono come partner strategici ma solo come irrilevanti fornitori oppure che la qualità dei nostri prodotti/servizi era mediocre.
    2. Un'azienda davvero forte commercialmente non può essere messa in ginocchio dal mancato pagamento di qualche cliente. Se dipendeva solo da pochi strategici clienti questo è stato un errore fatale, dovuto appunto ad una certa pigrizia commerciale. Certo, a nessuno fa piacere avere degli insoluti, ma questo non dovrebbe mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda.
    3. Un'altra causa, che ho citato nel punto 1 del mio articolo, è che in questi casi spesso si scopre che non c'è stata una rigorosa e professionale gestione degli insoluti, che si sono probabilmente accumulati portando il cliente poi a fuggire dalle proprie responsabilità.

    Ripeto, queste sono solo osservazioni basate su esperienze sul campo, ma non è detto che siano il vostro caso. Comunque, mi contatti in posta privata dandomi i Suoi dati e la ricontatterò volentieri: f.cotza@all-winners.it.
    Un caro saluto.

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  3. Ciao Fabrizio, ci conosciamo bene e sai come la penso in fatto di PMI. A quello che hai scritto nel tuo articolo vorrei aggiungere una riflessione che non so se ti vede in accordo oppure no perchè non ne abbiamo mai parlato.
    La riflessione è questa: molte PMI sono diventate tali perchè negli anni in cui le marginalità erano a due cifre, come dici giustamente, molte aziende famigliari o artigiane, ricorrendo anche molto all'indebitamento bancario, sono cresciute. Nel tempo hanno distribuito/percepito utili sotto varie forme e non hanno mai pensato a capitalizzare e patrimonializzare l'azienda in quanto c'erano le banche che, con una firmetta, ti davano tutti soldi necessari. Ora la musica è cambiata e molti piccoli e medi imprenditori se ne stanno accorgendo solo ora. Ora che le banche non hanno più danari per nessuno. Allora la domanda è: gli utili ed i margini degli anni a due cifre (marginalità a due cifre)perchè non vengono reimmessi in azienda per capitalizzare e dimostrare alle banche che ci credono loro per primi e quindi con diritto chiedono soldi per investimenti e rilancio?
    Scusa del tempo che ti rubo (il tempo è danaro)ma mi piaceva fare questa riflessione.
    A presto.
    Dario Braghetta

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  4. Nulla da aggiungere a quello che hai detto, penso che a parte qualche rara eccezione le mancanze siano e saranno quelle da te citate. Troppo spesso si va avanti per l' inerzia dagli anni precedenti e non ci si occupa abbastanza del medio-lungo termine. Manca la consapevolezza del vero valore dei collaboratori.
    Il dramma che gli errori di alcuni non servono da insegnamento per altri!
    Buon lavoro a tutti

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  5. Dario: sono d'accordo con te, bisogna vedere in questi anni che fine hanno fatto le "riserve" accumulate negli scorsi anni. Conosco persone che si sono bruciate tutto in speculazioni in borsa o che le hanno investite in immobili che nessuno ora gli vuole acquistare. E poi, ovviamente, c'è anche qualcuno che non ha proprio voglia di reinvestire, ma sta alla finestra a guardare come si mettono le cose...
    Grazie davvero per il tuo contributo e fatti sentire!

    Marco: io direi che manca la consapevolezza del ruolo di imprenditore, ovvero di colui che fa in modo di realizzare un progetto tramite la collaborazione di altre persone. Purtroppo molti ritengono che quella dell'imprenditore sia un'attività che si impara sul campo, ma questo comporta errori fatali da cui un tempo ci si rialzava col sacrificio e il duro lavoro, e che adesso invece determinano il fallimento di un'azienda.
    Ma di imprenditori disposti a mettersi in gioco, come sappiamo, purtroppo ce ne sono ancora troppo pochi.
    Grazie e a risentirti!

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  6. Wow, è la descrizione esatta dell'azienda in cui ho lavorato fino a Maggio. Fino al 23, per l'esattezza, poi è fallita ...

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  7. Questo articolo andrebbe stampato ed appeso in ogni azienda. Vale più di 100 corsi di formazione.
    Peccato che il mio titolare non la leggerà mai (oppure direbbe che sono tutte ca...volate).
    Mario (dipendente frustrato)

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it