Predicare bene, razzolare male.

Per chi fa il mio lavoro, ovvero quello di aiutare le persone a migliorarsi sia nel lavoro che nella vita di tutti igiorni, il pericolo più grande è quello di essere accusato di incoerenza.
Nei miei dieci anni di esperienza nel mondo della formazione ho incontrato personaggi di ogni tipo, dal consulente finanziario perennemente indebitato al formatore sulle vendite che non riusciva a vendere i suoi corsi (seppur finanziati da qualche fondo per un buon 70%).

Ho conosciuto anche persone molto coerenti con ciò che insegnavano, e questo emergeva soprattutto quando non erano più in aula o su un palco: sostenitori del pensiero positivo che in effetti sorridevano spesso, esperti di leadership dotati di un indiscusso carisma e così via.

Chi mi segue da un po' sa che il mio approccio alla vita è sempre più basato sul concetto di "Consapevolezza", ovvero sulla capacità di "risvegliarsi" dal sonno che ci porta ad agire in maniera meccanica e poco libera rispetto ai condizionamenti esterni.
Ciò comprende anche la capacità di godere del "qui e ora", di non vivere giudicando continuamente gli altri, di osservare con maggiore distacco il proprio monologo interiore, di non legare la propria felicità al mero raggiungimento di obiettivi futuri.

Ovviamente il sostenere questi concetti potrebbe portare a pensare che io sia già completamente padrone di tutto ciò, ovvero che io sia già un esempio vivente da emulare, al fine di poter dimostrare agli altri quanto sono più evoluto rispetto a chi mi ascolta.
Ma in realtà le cose non stanno proprio così.

Chi frequenta i miei seminari sa benissimo che evito il più possibile di spacciarmi per "guru illuminato, perfetto e sublime", per il semplice fatto che non credo nella possibilità umana di raggiungere nessun tipo di perfezione. Quella, poiché sono credente, la lascio a Dio.
Personalmente mi limito a fare un percorso e a tentare di condividerlo con chi è alla ricerca di qualcosa che vada oltre il successo esteriore, il potere effimero, l'etica di facciata, ed il buonismo.
Questo però non mi impedisce di sbagliare ogni giorno, di cadere ancora nelle abili trappole dei più furbi o di reagire emotivamente quando vedo delle ingiustizie.
Non ho ancora raggiunto un tale grado di Consapevolezza che mi permetta di rimanere calmo di fronte a ciò che giudico eticamente sbagliato, sebbene sia perfettamente cosciente che il giudizio è sempre un atto pericoloso.

Ma è giusto chiarire alcune sfumature che, se mal interpretate, potrebbero portare a grossolani errori di valutazione.
Quando si parla di Consapevolezza non si intende "passività totale nei confronti di tutto ciò che accade o che ci viene fatto".
Lo stesso Cristo, che insegnava a perdonare e a porgere l'altra guancia, era durissimo nei confronti di chi, con l'astuzia e l'arroganza, oltrepassava determinati limiti o tentava di ingannare la buona fede altrui (basti vedere la violenta reazione contro i mercanti nel tempio).
Le biografie di Gurdjieff (uno dei maggiori esponenti della Consapevolezza) non parlano certo di un personaggio docile con gli altri. Anzi. Le sue prese di posizione e le sue affermazioni nei confronti di determinati comportamenti erano più taglienti di una lama di coltello.
E gli esempi potrebbero essere infiniti.

Questo, che potrebbe apparire come un paradosso, o contraddittorio rispetto a quanto ci viene detto sull'essere consapevoli, in realtà è assolutamente congruente.
Poiché potresti avere persone assolutamente diplomatiche, accondiscendenti con tutti, persino melliflue nella loro gentilezza, che hanno però nel loro animo il solo obiettivo di manipolare con l'adulazione per ottenerne obiettivi personali ed egoistici. Così come invece potresti ricevere in maniera netta e senza fronzoli un'osservazione su un tuo comportamento sbagliato, che parte però dal cuore ed è finalizzata ad aiutarti.
Non sto parlando della famigerata "critica costruttiva" (ti dico che sei un cretino perché ti sono amico), bensì dell'osservazione cirocostanziata di chi ti fa notare come determinate azioni siano distruttive per te stesso e per chi ti circonda.

Purtroppo tale sfumatura è così leggera che può essere percepita solo da chi ha un minimo di vera consapevolezza, mentre viene spesso travisata da chi è convinto di averne molta, ma sta solo cercando di darsi ragione su tutto.
Ovviamente la sola razionalità non potrà mai decretare chi agisce per salvaguardare il bene rispetto a chi agisce solo per salvaguardare se stesso. Apparentemente sembrano azioni simili e spesso vengono addirittura valutate al contrario.
Basti guardare chi detiene il potere e quindi la possibilità di "giudicare" le azioni altrui.
Sempre più spesso sono i peggiori a passare per vittime, a sentirsi perseguitati o incompresi da chi cerca semplicemente di mettere qualche argine all'immoralità dilagante.

Purtroppo sotto questo aspetto il mio essere tendenzialmente positivo viene messo duramente alla prova. Credo che si sia superata la famosa massa critica, per cui saranno sempre più spesso i personaggi peggiori a farla franca e a vincere su chi lotta per salvaguardare determinati valori.
Ma la consapevolezza aiuta anche a questo: a comprendere che siamo qui anche per perdere e non solo per vincere, almeno nei confronti del Mondo.
L'importante è continuare il proprio cammino, tentando di salvaguardare i valori che riteniamo più veri e lasciando una piccola traccia - si spera positiva- del nostro breve passaggio in questa dimensione terrena.

3 commenti:

  1. Ciao Fabrizio,
    fatto è che siamo diventati estranei al nostro mondo interiore, ossia, per dirla con Ronald Laing, estranei alle nostre possibilità autentiche. Ovvia, e inevitabile, conseguenza, per tutti noi: “…la nostra alienazione giunge alle radici (…) nasciamo in un mondo dove l’alienazione ci attende; potenzialmente siamo uomini, ma versiamo in uno stato di alienazione, e questo stato non rientra in un sistema naturale…” (R. D. Laing)
    Si rischia, in definitiva, di rimanere in contatto soltanto con l’elaborazione mentale delle emozioni (per questo, durante gli esercizi, diciamo: senti il tuo corpo… e non: pensa al tuo corpo; senti le tue emozioni, e non: pensa a esse…).
    A questo proposito Almaas ricorda: “…si ama, si va in collera, si ha paura, si è malinconici e tristi, si è allegri soltanto attraverso la mediazione dell'attività mentale. Accade così di essere identificati con i propri pensieri e di perdere il contatto con il proprio sentire, con quanto accade dentro di noi di momento in momento e, in tal modo, con il proprio stesso essere.” Per questo egli propone di percorrere la strada della consapevolezza di sé tramite un’osservazione costante della propria presenza nel momento attuale, facendo esperienza della consapevolezza come di una presenza (o spazio) senza confini, priva di centro e onnipresente. In effetti, noi, ogni tanto, siamo presi dalla “sindrome della moglie di Lot”, ossia quella di guardare indietro…
    Ancora,sempre Almaas: “La perdita di contatto con la propria essenza fa sentire dentro di sé un vuoto doloroso che quasi tutti gli esseri umani cercano di riempire sviluppando parti della propria personalità… Più riusciamo a essere in contatto con ciò che è vero per noi stessi al di là delle costruzioni mentali, più ci avviciniamo alla gioia ed esprimiamo l’unicità del nostro essere…”
    Conclusione: portare l’attenzione nel presente, nel qui e ora. Il passato è alle spalle, pussa via… Il futuro è lontano, sfocato…
    Nicola Perchiazzi
    P. S. A proposito, è uscito il mio romanzo multiplex (anche psicologico e spirituale, e altro ancora...): "Gocce di pioggia a Jericoacoara" (Sovera). Ti piacerà moltissimo...

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  2. Ciao Nicola. è sempre un piacere leggerti.
    Il libro si trova in tutte le librerie?

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  3. Ciao Fabrizio.
    Grazie a te e ai tuoi commenti sempre positivi. Sì, il libro si trova in tutte le librerie (tipo Feltrinelli, Mondadori, ecc.). Essendo uscito qualche giorno fa, lo troverai certamente a partire dal 1° aprile (ma non è un pesce d'aprile...)
    Nicola

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it