La manipolazione mentale a fin di bene

Ultimamente sto riscontrando in molti "guru" della formazione un approccio che, a mio parere, è molto pericoloso. La chiamano "manipolazione mentale etica" o comunque a fin di bene.
Il concetto è: se lavoro sul tuo subconscio, con una qualunque tecnica ipnotica, per farti fare delle cose che poi ti permetteranno di sentirti meglio, allora tutto è lecito.

Poiché il fine è "buono".

La mia disapprovazione verso questo approccio non è data dalla mia tendenza ad "autosabotarmi" (come spesso ci viene detto) ma da tre motivi molto più concreti:

1. Stando a questa teoria, se io ti rendo perennemente sereno con l'uso di antidepressivi (o con droghe di vario tipo) allora sto facendo il tuo bene. Poiché se il fine giustifica i mezzi allora ogni mezzo è lecito.

2. Io devo poter decidere di voler essere "felice" tramite la manipolazione del mio subconscio. Anche perché non è detto che io voglia essere "felicemente inconsapevole". Potrei preferire una consapevole sofferenza.

3. Devo essere informato sul modo in cui manipolerai il mio cervello. Ovvero mi devi dire cosa farai e che effetti produrrà su me. Se lo fai senza avvisarmi stai andando contro la mia libertà di scelta (probabilmente il mio diritto più importante, dal momento che neppure Dio può violare il libero arbitrio).

Se mi fai ascoltare per trenta volte la stessa canzone per crearmi un "ancoraggio positivo" devi dirmelo prima e non spacciarla per altro. Se mi riempi di complimenti devi informarmi che questo lo fai per gratificare il mio Ego e rendermi quindi più disponibile. Se mi provochi determinate emozioni per accedere al mio subconscio devi avvisarmi prima sulla tecnica che stai utilizzando.

Insomma, la manipolazione etica non è quella che agisce a fin di bene, per il semplice motivo che nessun essere umano ha il diritto di decidere per un altro cosa è bene o male per lui. Il vero approccio etico rende consapevoli le persone di quali sono gli strumenti per poter affrontare determinate tematiche o problemi personali. Viceversa ti rende solo inconsapevolemente "schiavo" della persona (o dell'approccio formativo) che ti ha fatto stare (momentaneamente) meglio.

So che questo mio post mi attirerà le ire di tanti "colleghi" che hanno bisogno di far credere il contrario ai loro clienti (ed il motivo mi sembra piuttosto ovvio), ma se davvero vogliamo parlare di "centralità della persona" o di "amore universale" non possiamo poi chiudere gli occhi di fronte ad una verità tanto scomoda quanto evidente.

E visto il proliferare di approcci più o meno efficaci, questo distinguo permetterebbe a tanta brava gente "ipnotizzata" di osservare con più lucidità da chi si sta facendo consigliare o guidare. Sarebbe il primo passo verso un cammino di crescita consapevole e non manipolata per fini meramente commerciali.

3 commenti:

  1. Eccomi qui. Per prima cosa, non ho mai sentito parlare di "manipolazione mentale etica", quindi il mio commento riguarda solo quel che leggo qui. In linea di principio, sono d'accordo sul fatto che alcune persone sfruttino in modo improprio e per subdoli fini alcuni strumenti per altri versi preziosi e che tali persone vadano identificate e bandite. Al tempo stesso, ritengo che nel tuo discorso (che sa molto di battaglia personale) siano presenti alcune generalizzazioni che non condivido del tutto. Mi capita, ad esempio, di chiedere a un cliente di parlarmi di qualcosa di piacevole, per fargli cambiare "stato d'animo" e di questo, pur essendo tecnicamente una manipolazione mentale, non avviso il cliente medesimo. Come fai tu, del resto, quando sgonfi il palloncino parlando di Ego: stando a quello che dici, dovresti avvisare il pubblico che stai per innescare un meccanismo per cui stimolerai le sinapsi nervose e fissare il ricordo nella memoria a lungo termine invece che in quella breve grazie alla produzione di neurotrasmettitori provocati dall'impatto emotivo che produci. Quando fai quella scena, stai ancorando le persone. Oppure, quando indossi la maschera in silenzio per trenta secondi, quella è tecnicamente ipnosi: infatti, spingi le persone a una ricerca transderivazionale (cercano dentro loro stesse il significato di quello che tu stai facendo) e questa, almeno secondo Erikson, è trance. Personalmente, ho in grande antipatia i cialtroni che ipnotizzano e giocano con il cervello delle persone per farsi belli o per fini biechi, economici o di personale egoismo: la mia conferenza di ottobre, tanto per dirti, si intitolava "PNL & ETICA". Quindi, se pure mi posso dire totalmente allineato a te per i contenuti e i concetti sottesi al testo, devo però fare dei "distinguo", probabilmente legati alle mie esperienze umane e professionali.

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  2. Ciao Paolo,
    mi rendo conto che si tratta di un argomento spinoso, soprattutto per chi, come noi, ogni giorno mette tutto se stesso per aiutare gli altri.
    In realtà non credo si tratti di una battaglia personale, quanto di un bisogno di trasparenza che va diffondendosi tra coloro che hanno avuto la sfortuna di capitare nelle mani di persone senza scrupoli.
    Nessuno è perfetto e, come tu giustamente ricordi, anche la metafora del gonfiare/sgonfiare un palloncino può agire direttamente sul subconscio di chi assiste ad un mio intervento.
    Come ribadisco continuamente non ritengo di essere un esempio per nessuno, ed anche io, dopo 10 anni di formazione, certi meccanismi purtroppo li utilizzo in automatico. Cerco però di portare la mia personale esperienza e il mio (limitato) punto di vista rispetto a ciò che conosco e osservo in alcuni seminari a cui mi capita di partecipare.
    Con questo non voglio dire che "tutti" siano in malafede o che ogni approccio "motivazionale" sia sbagliato.
    Se una persona ha un arresto cardiaco il defibrillatore può essere utile. Ma si tratta di una situazione estrema, che non si dovrebbe trasformare in prassi.
    In poche parole se ogni volta col tuo cliente dovessi usare delle tecniche per "cambiargli lo stato d'animo" questo sarebbe il sintomo di un problema più profondo non gestito. O, peggio, se il cliente dovesse aver bisogno di vederti per poter star meglio significherebbe che si è creata un'insana dipendenza.
    Questo non significa non poterlo fare mai, o dover avvisare il cliente se lo si fa una tantum.
    Significa ridare al cliente la propria autonomia emozionale nel caso ci si accorga di aver creato in lui una dipendenza. E questo non riguarda una modalità o un approccio formativo, bensì la famosa etica personale, tanto sbandierata quanto disattesa da alcuni personaggi più o meno famosi.
    Sono d'accordo con te sul fatto che il limite sia sottile, ma è proprio questo che rende l'argomento difficile da affrontare. Ecco perché il confronto tra noi è fondamentale, soprattutto quando si parte da esperienze e approcci diversi. Ci permette di arrivare ad una sintesi più chiara, utile per chi ha già deciso di essere il più possibile coerente con ciò che insegna agli altri.
    Quindi grazie.

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  3. ...ed è per questo che noi due ci intendiamo bene! :-)

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it