Perché la Sardegna affonda?

C’è una regola inviolabile nel business, che più o meno dice così: se gli affari ti vanno male, la responsabilità è unicamente tua.
La prova di questa affermazione è data dal fatto che a parità di condizioni fiscali, location geografica e mercato economico c’è sempre qualcuno che fallisce e qualcuno che prospera.
Partendo da tale presupposto si possono fare tutte le considerazioni che seguono, e che riguardano in particolari modo la mia terra d’origine, ovvero l’amata Sardegna.
Lo scorso anno, in un impeto chiaramente masochista, ho voluto cambiare la meta delle vacanze estive, optando per l’isola che sta sopra (geograficamente) la nostra, ovvero la Corsica.
Tutti parlavano di questo posto come un vero paradiso, tale da giustificare la scelta, più che legittima, di dare i nostri soldi ad un’altra Nazione, pur avendo noi 7.458 km di coste.
Ebbene, sono partito carico di aspettative e devo dire che in effetti, a livello paesaggistico, è sicuramente molto bella. Ma quello che hanno davvero in più rispetto alla Sardegna (e a tante altre località italiane) è la capacità di valorizzare tutto, anche quando la sostanza è ben poca.
Due esempi su tutti:
La tanto pubblicizzata “Strada degli Artigiani” in zona Balagne. Mi ha incuriosito così tanto da aver rinunciato ad un pomeriggio di mare, pur di andarla a visitare. Per poi scoprire che si trattava di 3 negozietti di costosissimi gadget. Oppure un’anonima piazzetta a Portovecchio, trasformata in ritrovo esclusivo, semplicemente grazie alla proiezione di video musicali sulla facciata di una casa.
Roba semplice, insomma.
Ma nel trovarmi di fronte a queste scene mi tornavano in mente le centinaia di veri artigiani sardi, costretti spesso a svendere i loro prodotti di qualità, o le decine di Torri Costiere, spesso lasciate al degrado, ed ho pensato che noi sardi, dall’unione d’Italia in poi, abbiamo sempre e solo scelto due strade:
1. Farci colonizzare e sfruttare da altri.
2. Rimanere passivi, limitandoci ad una “confortante” lamentela.

Queste due strade sono, a loro volta, il frutto di 5 diversi approcci, che originano tutto questo, a volte con risvolti paradossali:

#1. La diffidenza. 
Il sardo è piuttosto sospettoso, soprattutto nei confronti di coloro verso i quali non dovrebbe esserlo. Diffida in particolare di chi vorrebbe aiutarlo sinceramente, o vorrebbe fare qualcosa per la collettività. 
Una diffidenza che solo pochi riescono a vincere agevolmente: gli sciacalli di professione
Ed infatti nessuno come il popolo sardo è stato l’obiettivo preferito di pseudo-imprenditori senza scrupoli e di truffatori che si spacciavano per salvatori. 

#2. La competizione malsana. 
Per il sardo è meglio fallire in due piuttosto che vincere entrambi. Ci si accontenta del meno peggio, purché attorno la situazione sia mediamente più grave. L’invidia prevale sulla soddisfazione di ciò che si riesce ad ottenere collettivamente, generando una spirale discendente dove a furia di danneggiare qualcun altro il sardo finisce col tagliare lo stesso ramo su cui è seduto. 
Mal comune, grande gaudio!

#3. L’inedia. 
La frase che più detesto è “Qui non si può fare niente”, accompagnata da “Qui manca tutto”
Aspettate un attimo... Se manca tutto vuol dire che c’è da fare tutto! Le due frasi si contraddicono a vicenda, quindi significa che una delle due è falsa. O probabilmente entrambe. 

Breve inciso autobiografico: La mia prima attività imprenditoriale l’ho creata a vent’anni, proprio in Sardegna. I miei genitori si erano trasferiti a Modena quando ero piccolo, ma io decisi di fare l’università a Cagliari, per riscoprire le mie origini. Ero uno dei rari casi di "migrante" al contrario. Ricordo che una delle maggiori lamentele dei miei coetanei era “La sera non si sa mai dove andare, manca una guida ai locali”
Lo trovai un ottimo suggerimento, e pochi mesi dopo nacque il De Gustibus, una rivista free press che per anni generò ottimi utili e mi permise di essere economicamente autonomo.

#4. La scarsa propensione all’imprenditorialità. 
Troppe persone cercano ancora il posto fisso e il lavoro sicuro, come se fossimo ancora negli anni ’80. Questa è, in parte, una conseguenza del punto precedente, ovvero l’inedia. Ma a questa va aggiunta una davvero scarsa competenza in termini di gestione aziendale e professionale. Si pensa che l’attività del costruttore edile sia costruire case, o che quella del dentista sia curare i denti. Dimenticando che, a parte l’ovvia competenza tecnica, servono anche conoscenze nella gestione organizzativa, finanziaria, commerciale e del personale. Senza di queste oggi fallisci sicuramente, nonostante tu possa proporre i prodotti o i servizi migliori di questo mondo.
#5 L’arroganza. 
Eh sì, va detto. Sappiate che mi costa, dal momento che questa è anche un’autocritica. Ammettere di avere (o di aver avuto) torto è quasi impossibile per noi. A volte sfocia anche nella sindrome di Fonzie (i più grandi lo ricorderanno, il personaggio in giacca di pelle nera che non riusciva a pronunciare la parola “scusa”), ma quello è un fattore secondario. 
Riuscire ad avere l’umiltà di ascoltare chi è più competente in qualcosa di specifico, o lasciarsi guidare da chi ha esperienza in un determinato settore sarebbe un grande passo avanti per un sardo. Eviterebbe estenuanti ed inutili discussioni che iniziano col classico “Sì, però…” e semplificherebbero la vita di chi vuole fare, piuttosto che convincere a fare.

Allora amici miei, lo dico da Sardo: 
- Non ci siamo stancati di aspettare che le cose magicamente cambino? 
- Ci siamo davvero rassegnati a vedere questa nostra Terra svilita e depredata? 
- Non è rimasto nulla di quello spirito sovversivo e coraggioso, che in passato ha contraddistinto il Popolo dei 4 Mori?

Si tratta di unire le forze, almeno tra coloro che condividono quanto sopra detto, e che reputano maturi i tempi per dare una svolta a questa situazione. 
Senza chiederlo ai politici, senza chiederlo alle istituzioni. Ma facendolo noi, partendo dal basso. 
Un piccolo manipolo di sardi coraggiosi può cambiare il futuro di questa regione? 
Io dico di sì. Il mio orgoglio sardo, quello sano, non può che rispondere di sì.

(Io comincerò con il primo piccolo passo. Un incontro per imprenditori e liberi professionisti sardi, il 4 Ottobre, a Cagliari. Chi vuole essere dei nostri mi contatti)

9 commenti:

  1. totalmente d'accordo su quello che hai iscritto, condivido ogni lettera al 100%.
    Io sono un ing chimico che è uscito dalla Sardegna, non per mia volontà. Ma lo sai quanti discorsi mi sono fatto? Ma lo sai quante volte sogno di tornare e far diventare grande la mia Terra? Cercando di uscire mentalmente ed economicamente da quei 4 angoli di mare???

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    1. Faremo di tutto per dare un contributo concreto allo sviluppo imprenditoriale sardo, così potremo mettere le nostre competenze a disposizione delle aziende del territorio!

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  2. Bravissimo, azzeccato. Si PUO' cambiare, ma con lo sforzo di tutti!

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  3. Sottoscrivo ogni parola, mai analisi fu più lucida e veritiera. Bravo.

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  4. ciao, io non sono Sardo ma Siciliano,cambia poco o forse molto,non lo so in comune quatto angoli di mare e chissà quante altre cose, da isolano ed isolati,ritengo questa analisi completa

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    1. Caro Antonino, credo che il concetto di base sia esportabile in molte regioni italiane. Sarebbe bello far partire un progetto di rinnovamento in ciascuna di queste, senza attendere che arrivi "dall'alto" ;)

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  5. MMMM...sig.r Cotza ma e' sicuro che non parlasse del sud della Toscana?e magari togliendo anche l'orgoglio tipico dei sardi (quello lo invidio davvero), complimenti per l'interessante articolo!

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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it