Ad esempio, se in alcuni periodi molte persone ci fanno arrabbiare, dovremmo comprendere che il "messaggio" consiste nella rabbia che proviamo e che dovremmo curare in noi stessi. Non accogliendo il messaggio faremo sì che la vita ci ponga davanti situazioni e persone che facciano emergere, in maniera ancora più evidente, ciò che ci ostiniamo a non voler vedere di noi.
Ovviamente, tutto ciò non viene preso in considerazione da chi ignora questo meccanismo e spesso viene dimenticato nella pratica anche da chi conosce la teoria: se una persona ci irrita con i suoi modi di fare arroganti non ci soffermiamo sul nostro provare irritazione, ma troviamo ottimi motivi per affermare che la nostra reazione è assolutamente giusta e proporzionata al torto subìto.
Il non reagire viene confuso con la passività del debole, che subisce ciò che gli viene fatto per paura, più che per scelta.
Per comprendere la differenza potremmo usare questo esempio, legato alla violenza fisica: se una persona più forte di me mi tira uno schiaffo io potrei decidere di non reagire perché temo di essere picchiato ancora di più, oppure potrei essere campione di arti marziali e non reagire per scelta.
Potrei chiedermi come mai l'universo mi ha "inviato" questo schiaffo (magari per mezzo di un bulletto ubriaco) oppure accettare passivamente che gli altri mi schiaffeggino solo perché nutro profondi ed inconsci sensi di colpa o di inferiorità.
Come potete ben vedere le differenze sono piccole e non sempre identificabili per chi ci oserva dall'esterno.
Ricordo che, nei primi anni in cui facevo formazione, se qualcuno mi faceva un'obiezione provocatoria tendevo a controbattere con grande impeto, al fine di metterlo alle corde e dimostrargli la sua ignoranza o stupidità. Era un atteggiamento dovuto al fatto che dovevo "dimostrare" di essere uno in gamba, preparato, sicuro di quanto insegnava.
Ora questo mi accade molto raramente, e spesso preferisco "perdere" di fronte al mio interlocutore, lasciando che rimanga della sua opinione.
Piuttosto mi chiedo quale "insegnamento" c'è dietro a quella sua obiezione per me. E spesso c'è, anche se non la comprendo istantaneamente.
Purtroppo questo è un esercizio faticosissimo, e ancora cado ancora in tranelli simili, vittima del mio Ego che vorrebbe vincere contro tutto e tutti.
Lo stesso discorso lo possiamo applicare nel momento in cui la vita, invece di metterci di fronte persone "portatrici di messaggi", ce le toglie in qualche modo: amici che scompaiono, amori che si interrompono, parenti che si allontanano.
La prima reazione, di solito, è quella del dispiacere o della rabbia. Ci sentiamo abbandonati ingiustamente da chi riteniamo che debba "darci" ancora affetto, amore, riconoscenza.
In realtà non è così. Più probabilmente questa persona ha smesso di avere una "funzione" per noi, o il suo allontanamento rappresenta un ulteriore messaggio riguardo ciò che non vogliamo vedere in noi stessi. E' dura da accettare, ma il più delle volte è così.
Il nostro Ego si ribella violentemente a questa ipotesi e sbraita che sono gli altri ingiusti e crudeli, cinici ed egoisti, mentre noi le vittime innocenti. L'Ego deve avere sempre ragione, poiché non vuole comprendere davvero cosa è bene per noi, ma vuole solo un appagamento momentaneo e l'allontanamento di ogni presa di responsabilità. Preferisce soffrire per ciò che considera un torto esterno piuttosto che farlo per guardare le proprie mancanze e paure.
Pian piano però è possibile iniziare questo percorso, spesso in salita e poco condiviso da chi ci circonda, al fine di di riconoscere la verità che racchiude e nasconde.
Per farlo serve un po' di coraggio e l'aiuto di chi ci ama davvero e veglia dall'alto su di noi.
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Fabrizio Cotza - Formatore Sovversivo.
www.fabriziocotza.it